19 giugno 2025

Malagnino, Sandro Serafini, uno dei sopravvissuti della tragedia del Fragalino nel 1945, torna sul luogo dell'esplosione per commemorare gli amici uccisi dallo 'spezzone'

Aveva solo 10 anni Sandro Serafini quel 18 giugno del 1945: si affacciava, da bambino, a vivere l'estate dopo la scuola, con i suoi amici, giocando tra cascina e campi e facendo il bagno nei fossi e nei canali, come il Fragalino, a San Giacomo Lovara, in quell'angolo di campagna paradisiaco che invece si sarebbe portato via le vite di 5 giovanissimi.

Sandro viveva nella frazione di Vigolo e quel pomeriggio era nei campi con gli amici, i fratelli Mario e Tarcisio, Emilio e Silvano, Franco, Ernesto e Piergiorgio; oggi ha novant'anni e quel giorno anche lui era al Fragalino, in un giorno inziato come tanti altri ma che sarebbe rimasto per sempre segnato nella sua memoria e nella memoria collettiva. Lui si salverà, insieme a Ernesto e Piergiorgio, mentre per gli altri non ci sarà nulla da fare, dilaniati da uno spezzone, una bomba che improvvisamente esplode e li uccide in un attimo.

Sandro ha 90 anni e quando ne aveva 26 ha lasciato Malagnino: oggi vive a Pandino, ma ha voluto tornare dopo aver saputo che ci sarebbe stata la cerimonia di commemorazione delle giovani vittime, nella ricorrenza dell'ottantesimo anniversario della loro morte. Fatica a riconoscere il posto perchè sono tanti anni che non ci torna più: l'ultima volta fu 30 anni fa, nel 50esimo anniversario della tragedia. Nel frattempo la campagna ha cambiato fisionomia, quel tratto di strada sterrata oggi non è più ombreggiato dai filari di gelsi, platani, pioppi, robinie, salici che la costeggiavano. "Oggi sono un po' spaesato, me lo ricordavo diverso questo posto. Anche quel canale lì mi sembrava più grande, quasi il doppio. Ci venivamo sempre a fare il bagno qui da bambini" ricorda Sandro.

Anche in quel 18 giugno era andato per fare il bagno e là c'era tutto il gruppo dei ragazzini che stanno trafficando con lo spezzone: sanno che si tratta di una bomba inesplosa, trovata pochi giorni prima nei campi e portata prima di nascosto nella cascina Cervellara. "Volevano aprirla per tirare fuori la polvere. Quella bomba lì aveva già fatto il giro di Cervellara. L'hanno portata qui e nel tentativo di aprirla l'hanno buttata sul manufatto di cemento" racconta Sandro.

Sono circa le due del pomeriggio quando il silenzio della campagna viene stravolto da un boato spaventoso. In quell'istante tutto cambia: cinque giovani vite cancellate, i corpi dilaniati e resi irriconoscibili dall'esplosione; altri tre bambini restano feriti insieme a una donna, che nell'esplosione perde i due figli mentre un terzo resta gravemente ferito. 

"Io mi sono salvato per miracolo: gli artificeri hanno detto che quando i bambini l'hanno buttata per terra la prima volta facendolo rotolare, si è rotta una vite di sicurezza e la capsula centrale era rimasta pulita. Forse non era la mia ora: io ero lì sulla curva, mi ero allontanato un po' non ero proprio vicino. Mi ero allontanato mentre passava un uomo che stava andando ad irrigare nei campi. I ragazzi si sono fermati e hanno aspettato che andasse via. Quando è scoppiata ero abbastanza lontano ma è stata un botta talmente forte che mi ha buttato in mezzo al campo, a venti metri da dov'ero. Si vede che non era la mia ora. - ricorda ancora bene Sandro- Dalle cascine sono arrivati gli uomini a veder cos'era successo. Io sono rimasto ferito ad una gamba da una scheggia. A me è andata bene, ho fatto solo 25 giorni di ospedale. L'altro bambino invece è stato trafitto da una scheggia che gli ha passato il torace. Ci hanno portati prima in cascina poi con l'autolettiga ci hanno portati all'ospedale".

Un ricordo indelebile inciso nella memoria di Sandro che ha voluto tornare in quel luogo della tragedia a portare un saluto sulla tomba degli amici. Ascolta in silenzio la commemorazione e il racconto raccolto dalle parole del professore Erminio Conca, storico del paese. Ma Sandro la storia la conosce già bene: "Sono due notti che non dormo, da quando ho saputo che sarei tornato per la commemorazione oggi".

In tanti erano presenti ieri pomeriggio al Fragalino insieme al sindaco Eugenio Giuseppe Zini, a don Paolo Fusar Imperatore per rendere omaggio alla memoria delle giovani vittime, accompagnati dal gruppo dei Bersaglieri e dal suono del silenzio alla tromba; oltre a Sandro, c'erano anche Tarcisio Taino, figlio di un altro sopravvissuto, Ernestino, che nell'esplosione perse due fratelli e che per molti anni, fino alla sua scomparsa nel 2020, si è preso cura del luogo e del monumento del memoriale, che è stato recentemente restaurato proprio per mantenere viva la memoria di quelle giovani vite spezzate.

Michela Garatti


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