Ritorna Ulisse: eroe, filosofo e amante crepuscolare. Monteverdi Festival, questa sera alle 20 al Teatro Ponchielli
Il Monteverdi Festival fa tappa ad Itaca. Narra, con Omero, le ultime vicende dell’infinito viaggio dell’eroe acheo al termine della sanguinosa guerra troiana. Il ritorno di Ulisse in Patria: è tragedia di lieto fine in un prologo e tre atti composta da Claudio Monteverdi su libretto di Giacomo Badoaro. Prima rappresentazione: Teatro Santi Giovanni e Paolo, Venezia, 1640. Venne ripresa lo stesso anno a Bologna.
Il testo letterario, riportato sulla partitura manoscritta conservata a Vienna, segue fedelmente il libri XIII-XXIII dell’Odissea.
Questa edizione del Ritorno è un nuovo allestimento: una produzione del Monteverdi Festival e Fondazione Teatro Ponchielli. In scena questa sera alle 20 e sabato alle 18.
La direzione dell’Orchestra La Fonte Musica è affidata a Michele Pasotti. La regia è firmata da Davide Livermore.
Importante è il cast vocale scelto: Mauro Borgioni, Ulisse ; Margherita Sala, Penelope; Jacob Lawrence, Telemaco; Luigi De Donato, il Tempo/Nettuno ; Giulia Bolcato, Amore/Giunone; Cristina Fanelli, La Fortuna; Arianna Vendittelli, Minerva; Valentino Buzza, Giove; Chiara Osella ,Humana Fragilità; Francisco Fernández-Rueda, Eumete ; Alberto Allegrezza, Eurimaco; Alena Dantcheva, Melanto; Davide Livermore, Iro; Arnaud Gluck, Pisandro; Roberto Rilievi, Anfinomo; Matteo Bellotto, Antinoo e Chiara Brunello, Ericlea.
Eleonora Peronetti, D-WOK cura la scene; Anna Verde: i costumi ; Antonio Castro: le luci. Chiara Osella è l’assistente alla regia. Francesca Sartorio è assistente ai costumi.
I tre atti originali saranno proposti in due parti. La regia di Davide Livermore si annuncia sincretica: unirà aspetti classici e mitologici con espedienti di grande innovazione. Il tutto funzionale a esaltare le singole personalità dei protagonisti in questo tuffo nell’antichità. E’ stato scritto che l’Ulisse monteverdiano è un’opera che parla di amore, fedeltà, ingegno e riscatto. Ma c’è da aggiungere che ha perfino un profilo filosofico e moralistico. Si pensi ad esempio al coro dei Feaci che, disobbedendo alle indicazioni di Nettuno, riportano l’eroe in Patria. Il loro coro Tutto fa, ché 'l ciel del nostro oprar pensier non ha è un esempio di epicureismo e di aristotelismo tout court. Epicuro e Aristotele erano, infatti, convinti che ogni divinità fosse praticamente impassibile e non potesse essere turbata dagli affari umani. Uno scetticismo punito con la loro trasformazione in sassi del mare; terribile metamorfosi ovidiana ante litteram.
Crepuscolare è poi il finale. Monteverdi abbandona la forma del coro festante, abitualmente utilizzato per celebrare la vittoria di uomini e dei nelle sfere dell’Olimpo. Sceglie una forma: semplice. Oggi si direbbe ‘domestica’: un semplice duetto. Un sussurro dolce e gentile tra due coniugi che, dopo un infinito tempo, si sono ritrovati, la sera, nella loro casa. E da lì osservano, innamorati, il selvaggio paesaggio della loro isola. Fuggan dai petti dogliosi affetti, tutto è goder. Del piacer, del goder venuto è 'l dì. Sì, vita, sì, sì, core, sì, sì, cantano Ulisse e Penelope. Il sipario si chiude su un quadretto famigliare, perfino crepuscolare, dove la grandezza degli dei si riduce a sentimenti umani. Troppi umani.
LA TRAMA
ATTO PRIMO. Dopo il prologo, in cui l'Humana Fragilità si contrappone al Tempo, alla Fortuna e ad Amore, C’è il lamento di Penelope per l’assenza di Ulisse. Intanto i Feaci sbarcano sulla spiaggia di Itaca per deporvi Ulisse addormentato. Per aver disobbedito agli dei, sono trasformati in scoglio. Ulisse si sveglia, è solo. Inizia con fatica un monologo in cui dà sfogo alla disperazione. Un pastorello si avanza cantando spensieratamente, gli annuncia di trovarsi a Itaca e rivela di essere Minerva. Ulisse manifesta la propria gioia. Si reca alla reggia occupata dai Proci, sotto le vesti in anziano mendicante. Melanto cerca di convincere Penelope a non sprezzare «gli ardori de' viventi Amatori», ma la regina è ferma nel suo rifiuto. Quando il finto mendicante annuncia che Ulisse è vivo, Eumete gli offre con gioia ospitalità ed amicizia.
ATTO SECONDO. Telemaco viene condotto a Itaca da Minerva ed è accolto da Eumete, che invita il mendicante a cantare per rendergli omaggio. Quando Telemaco e il padre rimangono soli, con un incantesimo Ulisse riprende le sue sembianze e si fa riconoscere: si alternano sgomento e incredulità. I proci intanto rinnovano le proposte di matrimonio a Penelope che rifiuta. Eumete conduce il finto mendicante davanti ai Proci, con disappunto di Iro, che si crede usurpato. Volano insulti. Dopo una rissa, arriva il momento della gara dell'arco di Ulisse. Invano i tre pretendenti cercano di tenderlo, solo il mendicante riesce a caricarlo per iniziare la strage dei Proci. Si presentano alla gara; a turno, levano un'invocazione prima di cimentarsi.
ATTO TERZO. Iro descrive la strage e il suo dolore: è terrorizzato. Eumete e Telemaco cercano di convincere Penelope a riconoscere Ulisse. La nutrice Ericlea è interdetta: deve rivelare a Penelope il segreto che ha scoperto .la cicatrice di Ulisse, segno di sicuro riconoscimento. Sarà Odisseo in persona a farsi riconoscere dalla sposa, descrivendole la coperta nuziale mai vista da nessuno al di fuori del marito. I due cantano un duetto chiudendo l’opera in un clima crepuscolare.
Musicologo
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