11 giugno 2025

Orfeo illuminato dalla voce della Bartoli, pioggia di fiori dai palchi per il primo appuntamento con l'opera del Monteverdi Festival

Che farò senza Euridice, dove andrò senza di lei l’aria simbolo dell’Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck  (libretto di Ranieri de’ Calzabigi, Parma 1769) è stata il punto più alto della rappresentazione andata in scena al teatro Ponchielli nell’ambito del Monteverdi Festival di Cremona. Prima opera delle numerose in programma per questa quarantaduesima edizione della manifestazione dedicata al musicista cremonese.  

E lo è stata ancor di più perché è stata dipinta dalla voce di Cecilia Bartoli, interprete tra le più apprezzate nel panorama internazionale per l’esecuzione del repertorio barocco e settecentesco. Del resto, questa edizione parmense della ‘favola’ del divino cantore, in prima italiana a Cremona, sembra proprio calzare a misura delle caratteristiche della Bartoli che ha interpretato la parte vocale di Orfeo. Il compositore di Erasbach, nella riduzione parmense della sua opera principale andata in scena a Vienna nel 1762, ha privilegiato le parti più liriche. Più, come si direbbe con lessico moderno, ‘sentimentali’ e ‘cantabili’ della composizione originaria. Fu gioco facile per Gluck perché nella città ducale aveva a disposizione, per la ‘prima’ italiana, un soprano del calibro Lucrezia Agujari detta La Bastardella, cantante inondata di complimenti da un giovanissimo Wolfgang Amadeus Mozart durante sul primo viaggio in Italia. 

Il lavoro di Gluck è diventato come un perfetto recital per il mezzo soprano che ha dimostrato, ancora una volta, le sue immense possibilità vocali; senza dimenticare di interpretare teatralmente, ma soprattutto magistralmente, un ruolo così intenso. Ha vagato sommamente in quella ‘terra di mezzo’ gluckiana dove l’antico ‘recitativo accompagnato’  si è via via trasformato in canto libero. Senza barriere. Senza confini. Dove fluttuano insieme i fantasmi delle antiche arie di ‘furia’ dell’opera seria e  i germi, ‘terribili’, del proto romanticismo. Dove il ‘belcantismo’ ancora così e ornato e complesso si  muta in dramma vero. In passione vocale. Tecnica vocale. Intonazione. Passaggi da un registro all’altro. Intensità espressiva. Tutto è stato perfetto. Talmente perfetto da indurre a commozione un pubblico più che numeroso accorso al Ponchielli per questo evento delle grandi occasioni.

Ha affiancato la Bartoli, Mélissa Petit, nelle doppie vesti di Euridice e Amore . Anche la giovanissima soprano è stata ben degna del ruolo. Accattivante prima nel giocoso ruolo di Amore come intensa in quella della ninfa, sposa d’Orfeo. Più romantico il suo ruolo rispetto alle difficoltà belcantistiche del  mitologico cantore, è stata in perfetto equilibrio tra una vocalità settecentesca pura e il primo refluo di passioni romantiche. Le è riuscito tutto in maniera entusiasmante, facendo percorrere quelle linee melodiche da suggestioni mozartiane. 

Ottimo anche il coro che è stato diretto da Jacopo Facchini. Il maestro ha privilegiato un’impostazione secca. Quadrata. Solenne sia che interpretasse i pastori di un arcadia lontana e felice sia che desse voce alle furie dell’ Averno in attesa di Orfeo. Scelta perfetta a rievocare la funzione classica del ‘coro’ come di un personaggio vero e proprio. Giudice e commentatore divino delle vicende umane. Bella la amalgama sonora e di colori che è riuscito a creare. Aiutata poi da una coreografia che ha dato ai coristi un ruolo da brivido nel racconto della fabula mitica. 

Gianluca Capuano ha guidato i Les Musiciens du Prince di Monaco senza la benchè minima sbavatura. Preciso. Calibrando ogni singolo passaggio. Ogni singolo fraseggio. Graduando con pazienza certosina ogni espressività orchestrale. Trasformando quegli appoggi d’arco da antico recitativo in parentesi preziose di accompagnamento. Brillanti. Solari i pezzi dell’orchestra sola. Capace di evidenziare i vecchi ‘topos’ del melodramma seicentesco ancora sopravvissuti all’epoca di Gluck come l’uso delle percussioni e degli ottoni per rappresentare gli Inferi. Preziosa anche la scelta di utilizzare un clavicordo al posto del cembalo per il basso continuo. 

Da promuovere a pieni voti anche l’allestimento. Un’opera a forma di concerto che, con alcuni accorgimenti, si è trasformata, sotto gli occhi di tutti, in un grande spettacolo teatrale facendo muovere cantanti e strumentisti attorno all’orchestra, nel proscenio e perfino in platea.  Senza poi nulla togliere alla capacità di recitazione delle due interpreti. Da ricordare la scena finale con i coristi attorno al cadavere di Euridice il cui volto era illuminato dal fuoco, tenue, di una semplice candela. 

Pioggia di fiori dai palchi. Tempesta di applausi dalla platea. Boati di bis da tutto il teatro. E un grazie a Cecilia da tutta la città .

Le foto sono di Lorenzo Gorini

Musicologo

Roberto Fiorentini


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commenti


Maestro Mauro Ivano Benaglia

12 giugno 2025 08:59

Un’esecuzione magistrale con interpreti di livello altissimo! Ottima recensione a cura di Roberto Fiorentini che rende pienamente il meritato successo!

Roberto

12 giugno 2025 09:19

Grazie mille Maestro per il suo apprezzamento, per me è sempre un onore.