Bach e dintorni: l'Ensemble Diderot illumina le relazioni profonde del barocco strumentale per lo STRADIVARIfestival
Ultimo appuntamento in un auditorium con tanti posti vuoti, complice forse il bel tempo e le temperature già estive, in attesa della ripresa autunnale per lo STRADIVARIfestival.
Il concerto dell’Ensemble Diderot guidato dal violino ispirato e rigoroso di Johannes Pramsohler ha proposto molto più di una ricognizione nella musica concertante del primo Settecento: è stato un raffinato esercizio di confronto critico e poetico tra tre visioni del barocco, colte nei loro punti di tangenza e di divergenza. Il programma, costruito con intelligenza, ha incorniciato la vetta assoluta dei concerti bachiani tra autori coevi che, pur navigando in parte le stesse acque stilistiche, hanno seguito traiettorie differenti. La scelta di aprire con Johann Friedrich Fasch è parsa tanto sorprendente quanto illuminante: il suo Concerto per violino e oboe in re minore ha messo subito in luce un mondo sonoro che condivide con Bach la densità contrappuntistica, ma la declina con un gusto per la fluidità e la trasparenza timbrica che in alcuni passaggi sembra guardare anche alle fioriture vivaldiane.
La modernità irrompe in un tablet poggiato sul leggìo del clavicembalo, ma sono le sonorità morbide e pastose a rapire da subito l’uditorio. L’oboe di Ivan Podyomov costruisce un dialogo serrato con il violino di Pramsohler senza indulgere a nessuna smanceria.
Luce fulgida per il Concerto in mi maggiore BWV 1042 di Bach, eseguito sul violino Rogeri del 1713 di Pramsohler; l’Allegro iniziale è stato caratterizzato da una scelta di tempo molto frizzante; anche in questo brano, come in Fasch, la scelta ci è sembrata orientata a un’esecuzione il più possibile oggettiva, all’insegna della pulizia e del rigore estremi, in cui a parlare è la partitura stessa, piuttosto che le singole personalità degli interpreti. Anche l’Adagio non ha concesso indugio, procedendo spedito tra le volute in cui avrebbe fatto piacere ascoltare maggiore peso e scavo espressivo da contrapporsi in maniera efficace ai tempi briosi tra cui si posiziona.
A seguire, il celeberrimo Concerto per due violini BWV 1043: i due solisti (Pramsohler e Marie Radauer-Plank) hanno saputo intrecciare linee melodiche con una chiarezza architettonica e una tensione dialogica che non hanno mai ceduto alla retorica, nemmeno nei passaggi più lirici. Il Largo ma non tanto è corso via tra note tratteggiate con leggerezza e la scelta significativa di non concedere nessun pathos; Il suono è rimasto sempre cesellato e pieno di respiro, con un uso delle articolazioni che ha dato voce alla danza interna di ogni movimento, ma l’ensemble tedesco ha tenuto fede al suo nome, dando una lettura senz’altro ’illuminista’ di questo meraviglioso capolavoro della letteratura violinistica.
Dopo la pausa, il programma ha fatto emergere il lato da “artigiano-filosofo” di Bach con due concerti ricostruiti a partire da fonti tastieristiche. L’invenzione retroattiva di questi concerti non solo mostra la plasticità della scrittura bachiana, ma permette anche di cogliere la sua idea musicale in senso “modulare”, dove ogni strumento si fa veicolo di un pensiero musicale autonomo rispetto alla destinazione strumentale.
La presenza del superlativo oboista Podyoomov ha influenzato positivamente l’esecuzione del bellissimo concerto in do minore per violino e oboe: l’articolazione delle frasi scandite con precisione chirurgica ma sempre con un’accuratissima calibratura dei pieni e i vuoti tensivi, unita all’eleganza del fraseggio ha convinto e deliziato.
Intermezzo dedicato al Concerto in la minore di Bach, altro caposaldo della letteratura violinistica.
Musica sublime, corsa via in un soffio; molto bello e d’effetto l’Allegro assai in cui è stato ben reso il groove trascinante del tempo composto.
Ultimo brano bachiano in programma, il concerto per oboe in fa minore: nel celeberrimo Largo il suono morbido e penetrante di Podyomov ha creato un momento di sospensione emotiva che ha reso palpabile l’intensità intima di questo Bach così trasparente e simile a Vivaldi.
Il brano finale, il conosciutissimo Concerto per due violini op. 3 n. 8 di Vivaldi, ha chiuso il cerchio di questa trinità barocca. Eppure, nella lettura dell’Ensemble Diderot, anche questo brano così familiare è apparso sotto una nuova luce: niente abbandoni virtuosistici, ma una lucidissima esplorazione delle simmetrie formali, dei contrasti e delle tensioni armoniche che ne fanno una costruzione di altissima intelligenza, mascherata da immediatezza e facile cantabilità.
Il concerto che abbiamo ascoltato stasera è stato un esercizio di pensiero musicale, oltre che una dimostrazione di virtuosismo misurato e condiviso. L’ensemble ha mostrato una eccezionale coesione e condivisione di intenti, con un visibile dialogo tra i solisti e i giovani e talentuosi componenti del ripieno.
La scelta di mettere Bach in dialogo con Fasch e Vivaldi non ha avuto la funzione didattica o esotica di riscoprire un minore o rispolverare un classico, ma ha permesso di ascoltare Bach da nuove angolazioni: non come genio isolato, ma come parte di un’intera costellazione creativa.
Il pubblico presente ha apprezzato e salutato con prolungati e convinti applausi.
La scarsa affluenza a un concerto che avrebbe meritato ben altri numeri invita a fare una riflessione sul pericolo di un event overload musicale in cui si potrebbe incorrere, in una città di dimensioni ridotte come Cremona, in presenza di una programmazione troppo ricca e non sempre diversificata nella scelta dei programmi, che, se troppo omogenei tra loro, potrebbero provocare una non sempre consistente presenza di pubblico a tutti gli eventi.
Le foto sono di Salvo Liuzzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti