"Mover di affetti per avvicinarsi al cielo", torna a splendere il Vespro della Vergine. Richieste da tutta Europa per l'anteprima del Festival Monteverdi
Mover gli affetti: è il sole splendente della poetica monteverdiana. Far nascere emozioni. Elevare lo spirito al di sopra della carne. Innalzare l’anima al cielo dove la passione si stacca dalla terra per gettarsi nelle braccia dell’Infinito. Nel cuore della madre di tutta la Cristianità.
Il Vespro della Beata Vergine da concerto composto sopra canti fermi, a sei voci e sei strumenti (Venezia, 1610), anteprima del Monteverdi Festival, è il magico arcobaleno musicale che contiene ogni colore di queste emozioni spirituali.
Luci. Bagliori che si proietteranno sabato, 7 giugno 2025 (ore 18, l’ora del Vespro) sulle imponenti architetture barocche della chiesa dei Santi Marcellino e Pietro. Artefice di questo ‘belvedere’ sul Paradiso Jordi Savall che guiderà la La Capella Reial De Catalunya e Le Concert Des Nations e il cast vocale e strumentale: Elionor Martínez, Anna Piroli, soprani; David Sagastume, Daniel Folqué, contraltisti; Ferran Mitjans, Martí Doñate – tenori; Mauro Borgioni, baritono e Guglielmo Buonsanti, basso. Lluís Vilamajó ha preparto l’ensemble vocale, Manfredo Kraemer è il primo violino de Le Concert.
Da tempo, ogni posto è esaurito. Sarà uno spettacolo dallo spessore internazionale. Tante le prenotazioni arrivate dall’estero: Stati Uniti, Giappone, Francia. Quasi tutti i continenti saranno rappresentati ad ammirare una composizione che mette in musica una delle preghiere più antiche della cristianità, risalente al primo secolo. Rito serale che prevedeva il Lucernarium, pasto agapico e il canto dei salmi.
Propone, dopo l’invocazione iniziale, cinque salmi: Dixit Dominus, Laudate pueri, Laetatus sum, Nisi Dominus, Lauda, Jerusalem dominum. Quattro mottetti spirituali: Nigra sum, Pulchra es amica mea, Duo Seraphim clamabant, Audi, coelum verba mea. La sonata: Sancta Maria ora pro nobis. L’inno: Ave maris stella. Per terminare con il grande: Magnificat a sette voci e sei strumenti.
Ed è soprattutto in quest’ultima composizione dove il vortice degli affetti circonda, in maniera del tutto avvolgente e coinvolgente, l’ascoltatore. L’alternarsi sapiente dei timbri vocali. Delle soluzioni strumentali. Degli artifici barocchi, quasi teatrali. Del compenetrarsi della monodia liturgica e della polifonia che crea una scala verso il cielo.
Basti pensare alla commovente linea vocale cantata dal soprano sulle parole anima mea Dominum; accompagnata da una serie di arpeggi armonici di profonda suggestione. Un’elevazione metafisica che porta nel parnaso spirituale. Oppure la forza espressiva della gioia, nell’Exultavit , dove i due tenori dipingono, con pirotecniche linee melodiche arabescate l’esultanza di uno spirito che ha trovato, in Dio, il suo definitivo completamento. Da far da base la monodia liturgica a rappresentare un infinito pronto a raccogliere l’esplosione di felicità dell’umano quando incontra il Divino. E come ci sente nell’ascoltare il Quia fecit magna. I due bassi che cantano muovono l’affetto della protezione di un Signore che fa grandi cose. E il suo spirito corre veloce, come il messaggero che annuncia l’arrivo dell’alba, tra gli svolazzi strumentali di violini e cornetti. Per chiudere con il prodigioso Amen. Ogni voce si rincorrere, come un dialogo tra schiere angeliche. I ricami melismatici si fondono con rielaborazioni ‘gregoriane’ per terminare in un poderoso accordo vocale, come quello dei serafini che sempre guardano e cantano a Dio e bruciando con il fuoco della carità.
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